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A scatenare le allergie è il polline, una polvere sottile prodotta da piante come olmo, loglio (una graminacea) e ambrosia. I grani in sospensione in aria variano da 9 a 200 micrometri (millesimi di millimetro): le particelle più sottili arrivano ovunque, anche nei polmoni. Anche a distanza di chilometri, le polveri di polline si spostano con il vento e si insinuano facilmente dappertutto, anche nelle abitazioni e all’interno di luoghi chiusi. Normalmente nell’arco dell’anno ci sono tre grandi picchi di produzione di polline: quercia, frassino, betulla e acero ne producono molto in primavera. L’erba timotea e altri tipi di erba producono pollini in estate, mentre in autunno c’è il picco del polline di ambrosia, in Italia diffusa soprattutto in Lombardia.
Tre stagioni su quattro sono quindi problematiche per chi soffre di allergia, e il surriscaldamento del pianeta aggrava la situazione. Le stagioni calde infatti si allungano sempre di più e le piante hanno a disposizione più tempo per mettere in circolazione il polline. A metterci lo zampino sono però anche le concentrazioni di anidride carbonica che sollecitano alcune piante, come appunto l’ambrosia, a produrre più polline. Non a caso dall’Ottocento a oggi, complice l’industrializzazione, la produzione di polline da parte di questa pianta è più che raddoppiata. Il risultato è la messa in circolazione di un maggior numero di semi e una maggiore produzione di ambrosia per l’anno successivo, distribuita in un lasso più lungo di tempo. Gli studiosi hanno appurato che l’aumento della concentrazione di anidride carbonica aumenta la quantità di peptidi allergenici sul polline. La cosa non è priva di conseguenze: queste sostanze hanno infatti una composizione molecolare che sollecita maggiormente il sistema immunitario del nostro organismo, aumentando di fatto il potere allergenico del polline. (Focus)